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Quando il fai da te uccide il colosso...
4 partecipanti
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Quando il fai da te uccide il colosso...
Sembrerebbe che la Kodak, l’azienda che si è caratterizzata come l’icona tecnica della fotografia, stia attraversando una crisi finanziaria che la condurrebbe al fallimento. Dopo nessuna risposta per aver messo in vendita circa 1100 brevetti, i responsabili avrebbero intenzione di ricorrere al Chapter 11, quel “capitolo” della legge fallimentare statunitense che permette alle imprese di dar vita ad una riorganizzazione, quando si trovano in dissesto finanziario. La Kodak avrebbe, quindi, la possibilità di organizzare un’asta pubblica, sotto un’amministrazione controllata, per la vendita dei suoi brevetti. Per ora non ci sono commenti in merito da parte dell’azienda.
“Voi premete il bottone, noi facciamo il resto”, con questo slogan, nell’ormai lontano 1888, George Eastman, un ex impiegato di banca, lancia sul mercato la Kodak, un apparecchio semplice da usare, economico e non ingombrante, convinto che milioni di persone avrebbero desiderato “fotografare personalmente i fatti memorabili della loro esistenza quotidiana, gli oggetti, i luoghi e le persone che sono loro cari … ” *1. Kodak è un marchio di fantasia, non significa niente, ma suona bene e richiama il rumore dello scatto. È pensato come un prodotto globalizzato e pertanto richiede un efficace investimento pubblicitario *2.
La macchina fotografica costava 25 dollari, includeva una pellicola, la custodia di pelle, la tracolla e la stampa del primo rullo; quando questo era stato completato, il cliente mandava l’apparecchio alla fabbrica Eastman di Rochester, dove i negativi venivano sviluppati e stampati e con soli 10 dollari in più la macchina veniva rispedita con una nuova pellicola.
La storia della Kodak è piena di tappe importanti, ognuna delle quali contribuisce a dettare il successo dell’azienda nel mondo della fotografia. Nel 1934 viene lanciata la prima delle sue macchine fotografiche KODAK RETINA 35mm ad alta precisione; nel 1946 viene immessa sul mercato la KODAK EKTACHROME, la prima pellicola a colori che i fotografi possono sviluppare autonomamente utilizzando i nuovi kit di prodotti chimici in commercio e nel 1963 viene lanciata la linea di macchine fotografiche KODAK INSTAMATIC, caratterizzate da una pellicola caricata in una cartuccia facile da usare, destinata ad accrescere la diffusione della fotografia amatoriale. Nel 1981, le vendite della società superano la soglia dei dieci miliardi di dollari e nel 1996 viene introdotto il formato Advanced Photo System con il quale il caricare la pellicola diventa un’operazione semplice e si ha la possibilità di scegliete tra tre diversi formati di foto: classico, panoramico e di gruppo. Un crescendo fino ai giorni nostri permettendo alla Kodak di imporsi come uno dei maggiori produttori di pellicole e sistemi di fotografia nel mondo.
Sarà forse anche colpa del digitale, che ha ucciso la Kodak, ma secondo me non ha fatto nulla per evolversi e rimanere aggiornata coi tempi...
“Voi premete il bottone, noi facciamo il resto”, con questo slogan, nell’ormai lontano 1888, George Eastman, un ex impiegato di banca, lancia sul mercato la Kodak, un apparecchio semplice da usare, economico e non ingombrante, convinto che milioni di persone avrebbero desiderato “fotografare personalmente i fatti memorabili della loro esistenza quotidiana, gli oggetti, i luoghi e le persone che sono loro cari … ” *1. Kodak è un marchio di fantasia, non significa niente, ma suona bene e richiama il rumore dello scatto. È pensato come un prodotto globalizzato e pertanto richiede un efficace investimento pubblicitario *2.
La macchina fotografica costava 25 dollari, includeva una pellicola, la custodia di pelle, la tracolla e la stampa del primo rullo; quando questo era stato completato, il cliente mandava l’apparecchio alla fabbrica Eastman di Rochester, dove i negativi venivano sviluppati e stampati e con soli 10 dollari in più la macchina veniva rispedita con una nuova pellicola.
La storia della Kodak è piena di tappe importanti, ognuna delle quali contribuisce a dettare il successo dell’azienda nel mondo della fotografia. Nel 1934 viene lanciata la prima delle sue macchine fotografiche KODAK RETINA 35mm ad alta precisione; nel 1946 viene immessa sul mercato la KODAK EKTACHROME, la prima pellicola a colori che i fotografi possono sviluppare autonomamente utilizzando i nuovi kit di prodotti chimici in commercio e nel 1963 viene lanciata la linea di macchine fotografiche KODAK INSTAMATIC, caratterizzate da una pellicola caricata in una cartuccia facile da usare, destinata ad accrescere la diffusione della fotografia amatoriale. Nel 1981, le vendite della società superano la soglia dei dieci miliardi di dollari e nel 1996 viene introdotto il formato Advanced Photo System con il quale il caricare la pellicola diventa un’operazione semplice e si ha la possibilità di scegliete tra tre diversi formati di foto: classico, panoramico e di gruppo. Un crescendo fino ai giorni nostri permettendo alla Kodak di imporsi come uno dei maggiori produttori di pellicole e sistemi di fotografia nel mondo.
Sarà forse anche colpa del digitale, che ha ucciso la Kodak, ma secondo me non ha fatto nulla per evolversi e rimanere aggiornata coi tempi...
Re: Quando il fai da te uccide il colosso...
Ovvio che è il digitale ad averla uccisa e non la si può neanche colpevolizzare che non ha saputo aggiornarsi in quanto dal chimico al digitale c'è un abisso, cambia completamente il processo industriale, le conoscenze, le maestranze ecc.
Infatti tutte le ditte che producevano chimici son praticamente fallite (agfa, ilford, polaroid, ferrania, ecc) e le ditte che producevano macchine fotografiche sono riuscite solo in parte a non morire (vedi Contax, leica, minolta)
E' come quando il trasporto da nave è passato all'aereo (vedi transatlantici) o ancora da cavalli al cavallo vapore.
O nella musica si è passati dal vinile al cd e oggi all'mp3
Il mondo della fotografia è cambiato volenti o no...
anche la figura del fotografo sta cambiando
Infatti tutte le ditte che producevano chimici son praticamente fallite (agfa, ilford, polaroid, ferrania, ecc) e le ditte che producevano macchine fotografiche sono riuscite solo in parte a non morire (vedi Contax, leica, minolta)
E' come quando il trasporto da nave è passato all'aereo (vedi transatlantici) o ancora da cavalli al cavallo vapore.
O nella musica si è passati dal vinile al cd e oggi all'mp3
Il mondo della fotografia è cambiato volenti o no...
anche la figura del fotografo sta cambiando
Re: Quando il fai da te uccide il colosso...
Ok, ma la kodak produceva macchine, pellicole e tutto quello che girava intorno all'analogico. Perchè con l'avvento del digitale non ha puntato di più sulle macchine digitali? Pensavano di resistere? Bah...
Re: Quando il fai da te uccide il colosso...
Diego Corvasce ha scritto:Ok, ma la kodak produceva macchine, pellicole e tutto quello che girava intorno all'analogico. Perchè con l'avvento del digitale non ha puntato di più sulle macchine digitali? Pensavano di resistere? Bah...
Perché un chimico non è un elettronico. Bisogna avere le persone con il know-how adatto a fare certi lavori.
Inoltre anche le competenze del settore marketing dovevano aggiornarsi. La pellicola la dovevi vendere all'utilizzatore finale, i sensori li devi vendere a chi produce le fotocamere. Direi che oltre al cambiamento di target di clientela siano cambiate anche le entità dei contratti in gioco. Poi io economia non ne so una cippa e magari ho detto boiate, però immagino che uno che deve vendere tre rullini a me agisca in modo diverso sul mercato da uno che deve vendere n ksensori a Nikon (Pentax, e poi non so chi altri visto che Sony, Canon, Fuji e Samsung i sensori se li fanno da soli...).
E' la stessa cosa che è successa Pentax con l'avvento dell'autofocus (che ha inventato lei, implementato in un modo a dir poco "imbarazzante", ma è facile parlare col senno di poi). Parlando con un po' di gente che fotografa da quando l'autofocus era fantascienza è difficile trovare qualcuno che non abbia mai avuto una Pentax, invece al giorno d'oggi ci sei tu che mi chiedi "Perché Pentax?" come se io fossi un marziano!
Re: Quando il fai da te uccide il colosso...
Ma la Kodak di prodotti elettronici ne ha fatti http://shop.kodak.it/store/ekconseu/it_IT/list/Fotocamere_digitali/categoryID.28927200
Ora, è chiaro che non vivi vendendo solo compattine, ma piuttosto di chiudere, prova a lanciarti come si deve. Poi anche io di marketing e politiche aziendali non so una mazza. Però fallire per fallire, almeno ci hai provato. In fondo anche le altre case hanno dovuto fare il salto dall'analogico al digitale.
P.S. e non mi venite a dire che un colosso di tali dimensioni non aveva le possibilità per investire in nuovi prodotti.
Ora, è chiaro che non vivi vendendo solo compattine, ma piuttosto di chiudere, prova a lanciarti come si deve. Poi anche io di marketing e politiche aziendali non so una mazza. Però fallire per fallire, almeno ci hai provato. In fondo anche le altre case hanno dovuto fare il salto dall'analogico al digitale.
P.S. e non mi venite a dire che un colosso di tali dimensioni non aveva le possibilità per investire in nuovi prodotti.
Re: Quando il fai da te uccide il colosso...
La kodak produceva pellicole e carte fografiche, quindi tutto ciò che era legato al mondo chimico.
Le macchine fotografiche marchiate kodak erano delle "usa e getta".
Come altre case ha provato a passare al digitale ma non è riuscita a entrare nel sistema, in particolare perchè aveva una struttura troppo collegata al chimico che avrebbe dovuto smantellare in toto e convertirsi completamente.
Il digitale costa molto in termini di ricerca e industrializzazione.
Prima la costruzione di una macchina fotografica era molto da "artigiani" oggi se non sei un colosso informatico non riesci più a produrla
Le macchine fotografiche marchiate kodak erano delle "usa e getta".
Come altre case ha provato a passare al digitale ma non è riuscita a entrare nel sistema, in particolare perchè aveva una struttura troppo collegata al chimico che avrebbe dovuto smantellare in toto e convertirsi completamente.
Il digitale costa molto in termini di ricerca e industrializzazione.
Prima la costruzione di una macchina fotografica era molto da "artigiani" oggi se non sei un colosso informatico non riesci più a produrla
Re: Quando il fai da te uccide il colosso...
Tra poco tutte le aziende elettroniche saranno piene di omini che faranno "attacca-stacca" con lo scotch da delle matite, io vi ho avvisati!
Re: Quando il fai da te uccide il colosso...
ma la kodak ha inventato lei il digitale...e fabbrica sensori....forse troppo belli e troppo cari.......
Certo è che mantenere in piedi un colosso di aziende e di uomini come nell'era della pellicola è diventato un costo troppo oneroso...
nel bene e nel male pare che in questo mondo (super)consumistico, si salva e regge chi fa la quantità e non la qualità!!!
Certo è che mantenere in piedi un colosso di aziende e di uomini come nell'era della pellicola è diventato un costo troppo oneroso...
nel bene e nel male pare che in questo mondo (super)consumistico, si salva e regge chi fa la quantità e non la qualità!!!
Re: Quando il fai da te uccide il colosso...
Giusta osservazione, rettifico: la kodak si è data da sola la zappa sui piedi, ha inventato il sensore digitale e poi non ha saputo commercializzarlo come invece fa sony.
Re: Quando il fai da te uccide il colosso...
rot56 ha scritto:ma la kodak ha inventato lei il digitale...e fabbrica sensori....forse troppo belli e troppo cari.......
Certo è che mantenere in piedi un colosso di aziende e di uomini come nell'era della pellicola è diventato un costo troppo oneroso...
nel bene e nel male pare che in questo mondo (super)consumistico, si salva e regge chi fa la quantità e non la qualità!!!
Kodak ha venduto la divisione sensori nel 2009. I sensori Kodak (per fortuna) non c'entrano niente con questa bancarotta. La 645D è salva!
Re: Quando il fai da te uccide il colosso...
Ma questo riguarda la Borsa e i 19mila preoccupati dipendenti che ancora lavorano per il colosso mondiale della fotografia. Un’azienda con 131 anni di storia, essendo stata fondata nel 1881 da George Eastman. Il quale aveva deciso di chiamarla così perché quell’espressione riproduceva il rumore che faceva la sua macchina fotografica: kodak.
«A quell’epoca non c’erano ricerche di mercato ma pura genialità», taglia corto Oliviero Toscani: «Io sono cresciuto a pane e Kodak».
Anche per noi, fotografi da gita domenicale e turismo famigliare, finisce un’epoca. Ma che fosse finita già da qualche anno lo mostrano le nostre case e le nostre abitudini. Le foto di gruppo e i ritratti esposti sul tavolino in salotto vanno scomparendo. Gli album sono preistoria. Come le serate di diapositive, magari un po’ pallose, che però avevano un loro perché. Si scrutavano quelle immagini nel buio squarciato dal raggio del proiettore, o dentro la cornice o sfogliando le pagine dei raccoglitori. E ne scaturiva un amarcord, una risata, un tormentone. Era anche un modo diverso di fotografare, visti i costi di sviluppo: un rullino di 24 o 36 pose andava sfruttato al meglio.
Sembrano cambiamenti marginali, cose minime. In realtà sono piccole-grandi rivoluzioni del quotidiano. L’unica salvezza è che non sono mai repentine, si affermano gradualmente. La pellicola è sparita progressivamente. Come avvenne con il vinile e il passaggio alle cassette e poi al cd. Infine, all’i-pod e al download della musica dalla rete.
Negli anni ’70, quando la Polaroid introdusse una specie di scatola che sputava subito la foto appena scattata ancora umida ma già sviluppata, si scatenò una guerra all’ultimo click. Riguardava le fasce più basse del mercato, ma l’azienda americana replicò con la «Kodak Instant» e le pellicole autosviluppanti. Senza riuscire a spuntarla. Ad assestare un altro colpo sul terreno dei rullini, che fino a quel momento era stato monopolio Kodak, arrivarono le case giapponesi. Negli ultimi anni la Eastman Kodak Company aveva tentato di mettersi al passo con le nuove tecnologie. Diversificando l’offerta, sviluppando i settori dei macchinari e delle stampanti. Con scarsi risultati.
L’avvento del digitale aveva cambiato tutto. Adesso si scatta senza pensarci, a raffica, le nuove macchine contengono migliaia di pose. Si scorrono veloci e con un click si eliminano. Non parliamo dei cellulari e degli smartphone. Solo una piccola parte viene scaricata per molto ipotetiche visioni al computer insieme ad amici o famigliari. Ancora più eventuale l’uso delle cornici elettroniche, nuovo gadget dell’era iper-techno. Lo sviluppo casalingo delle foto, con la carta delle stampanti normali, poi è deludente. E allora si ricorre nuovamente ai fotografi specializzati che nel frattempo si erano convertiti ad altri mestieri e che ora magari riaprono la camera oscura nel retrobottega del bazar o della cartoleria.
Un marchio che negli anni aveva sponsorizzato Olimpiadi e Mondiali di calcio e dato il nome al teatro degli oscar di Los Angeles è stato fagocitato dal progresso. «Quell’azienda è stata uccisa dal marketing», osserva Toscani. «Il profitto si fa grazie alla passione, come quella del geniale fondatore della Kodak.
Invece oggi tutto è in mano ai bocconiani». Che noi, gente comune, ne guadagniamo davvero è tutto da dimostrare.
Qui in redazione, vicino al computer, ho una foto della mia famiglia che risale all’èra del rullino. Quasi ogni giorno mi dicevo, “devo aggiornarla, devo scegliere un’immagine più recente”. Chissà, forse adesso deciderò di tenermela.
«A quell’epoca non c’erano ricerche di mercato ma pura genialità», taglia corto Oliviero Toscani: «Io sono cresciuto a pane e Kodak».
Anche per noi, fotografi da gita domenicale e turismo famigliare, finisce un’epoca. Ma che fosse finita già da qualche anno lo mostrano le nostre case e le nostre abitudini. Le foto di gruppo e i ritratti esposti sul tavolino in salotto vanno scomparendo. Gli album sono preistoria. Come le serate di diapositive, magari un po’ pallose, che però avevano un loro perché. Si scrutavano quelle immagini nel buio squarciato dal raggio del proiettore, o dentro la cornice o sfogliando le pagine dei raccoglitori. E ne scaturiva un amarcord, una risata, un tormentone. Era anche un modo diverso di fotografare, visti i costi di sviluppo: un rullino di 24 o 36 pose andava sfruttato al meglio.
Sembrano cambiamenti marginali, cose minime. In realtà sono piccole-grandi rivoluzioni del quotidiano. L’unica salvezza è che non sono mai repentine, si affermano gradualmente. La pellicola è sparita progressivamente. Come avvenne con il vinile e il passaggio alle cassette e poi al cd. Infine, all’i-pod e al download della musica dalla rete.
Negli anni ’70, quando la Polaroid introdusse una specie di scatola che sputava subito la foto appena scattata ancora umida ma già sviluppata, si scatenò una guerra all’ultimo click. Riguardava le fasce più basse del mercato, ma l’azienda americana replicò con la «Kodak Instant» e le pellicole autosviluppanti. Senza riuscire a spuntarla. Ad assestare un altro colpo sul terreno dei rullini, che fino a quel momento era stato monopolio Kodak, arrivarono le case giapponesi. Negli ultimi anni la Eastman Kodak Company aveva tentato di mettersi al passo con le nuove tecnologie. Diversificando l’offerta, sviluppando i settori dei macchinari e delle stampanti. Con scarsi risultati.
L’avvento del digitale aveva cambiato tutto. Adesso si scatta senza pensarci, a raffica, le nuove macchine contengono migliaia di pose. Si scorrono veloci e con un click si eliminano. Non parliamo dei cellulari e degli smartphone. Solo una piccola parte viene scaricata per molto ipotetiche visioni al computer insieme ad amici o famigliari. Ancora più eventuale l’uso delle cornici elettroniche, nuovo gadget dell’era iper-techno. Lo sviluppo casalingo delle foto, con la carta delle stampanti normali, poi è deludente. E allora si ricorre nuovamente ai fotografi specializzati che nel frattempo si erano convertiti ad altri mestieri e che ora magari riaprono la camera oscura nel retrobottega del bazar o della cartoleria.
Un marchio che negli anni aveva sponsorizzato Olimpiadi e Mondiali di calcio e dato il nome al teatro degli oscar di Los Angeles è stato fagocitato dal progresso. «Quell’azienda è stata uccisa dal marketing», osserva Toscani. «Il profitto si fa grazie alla passione, come quella del geniale fondatore della Kodak.
Invece oggi tutto è in mano ai bocconiani». Che noi, gente comune, ne guadagniamo davvero è tutto da dimostrare.
Qui in redazione, vicino al computer, ho una foto della mia famiglia che risale all’èra del rullino. Quasi ogni giorno mi dicevo, “devo aggiornarla, devo scegliere un’immagine più recente”. Chissà, forse adesso deciderò di tenermela.
Re: Quando il fai da te uccide il colosso...
Chiude la Kodak
addio fabbrica dei ricordi
Il titolo crolla in Borsa, fallimento pilotato per l'azienda che spera nelle stampanti
ROCCO MOLITERNI
La chiamai “Kodak” perché era un nome breve, vigoroso, facile da pronunciare e, per soddisfare le leggi sui marchi depositati, non significava nulla»: così George Eastman spiegava la nascita di quel nome che per noi invece ha significato fino a ieri «fabbrica dei ricordi». Fino a ieri, perché ieri la celebre casa americana produttrice di pellicole, fondata dallo stesso Eastman nel 1888, ha avviato la procedura di fallimento, travolta dal digitale e dalle nuove tecnologie. La Kodak ha segnato la storia della fotografia: con lo slogan «voi premete il pulsante, noi facciamo il resto» e con gli apparecchi «usa e getta» ha portato la democrazia nel mondo dell’immagine, facendoci sentire tutti un po’ fotografi. Giallo era il colore degli involucri che avvolgevano i suoi rullini, giallo anche quel tono di sottofondo che dava un inconfondibile calore alle fotografie scattate con quelle pellicole e stampate su quella carta.
Parliamo, per chi oggi fa le foto con il telefonino, di un’epoca preistorica, quando prima di partire per un viaggio andavi dal fotografo o dal tabaccaio e decidevi quali e quanti rullini comprare. A priori dovevi però scegliere se volevi le foto in bianco e nero o a colori. In genere chi nascondeva sotto sotto l’ambizione di diventare un Cartier-Bresson puntava sul bianco e nero. Chi invece già pregustava il piacere (un po’ sadico) di quando avrebbe tenuto inchiodati per ore gli amici a guardare decine di diapositive dell’Islanda o del Botswana, sceglieva il colore. E anche il numero contava: se era un weekend o il battesimo del cuginetto magari bastava il rullino da 24 pose, se invece era il viaggio dell’anno ti attrezzavi con rullini da 36.
Oggi chi collega al computer la memoria dell’apparecchio digitale e vede quasi in tempo reale quello che ha scattato non può forse capire la sottile magia e quel pizzico d’apprensione che c’era nel rito di andare a «ritirare le fotografie». Perché non sapevi mai quali sorprese ti potessero attendere. Magari mentre caricavi il rullino questo aveva preso un po’ di luce, così le prime cinque o sei foto (ovviamente quelle in cui una ragazza conosciuta proprio la mattina prima di tornare a casa ti sorrideva e tu pensavi di mandarle lo scatto per conquistarla) erano uscite «bruciate» e al posto di quel sorriso c’era solo una macchia arancione. Oppure la festa di paese con le luminarie, che eri sicuro di aver ripreso fin nei più piccoli particolari, si rivelava un insieme di immagini «mosse» in cui non distinguevi né il santo e neppure il paese. D’altro canto a volte dimenticavi per mesi di andare a «ritirare» quelle fotografie e quando lo facevi quasi ti stupivi di aver vissuto tu quei momenti.
Allora la fotografia era soprattutto una questione di tempo: tempi di esposizione, tempi di stampa, tempi per far rivivere i ricordi. Ma era anche una questione di spazi: i momenti che avevano scandito la vita dei nostri nonni, fissati in immagini di carta, avevano bisogno di una scatola o almeno di un cassetto. Ai nostri genitori, quando ormai per raccogliere le fotografie trionfava l’album, con le linguette d’angolo e le pagine trasparenti tra un foglio e l’altro, serviva quasi un armadio per una sola cerimonia di nozze. Oggi puoi mettere una vita in un solo Cd e Kodak diventa sinonimo di nostalgia.
Ma non tutto il digitale vien per nuocere e in fondo hai il vantaggio di poter realizzare quante immagini vuoi. Semplicemente si è spostato il momento della scelta e, come nella vita, quello della maturità. Ai tempi della Kodak dovevi decidere nell’attimo in cui scattavi quello che era importante e quello che non valeva la pena di ricordare. Adesso puoi fermare in teoria un numero mostruoso di immagini, ma quando le hai sul computer devi comunque decidere cosa salvi e cosa no. Perché, siano sulla carta o siano sul video, gli attimi che vale la pena di rivivere non sono mai infiniti.
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ROCCO MOLITERNI
La chiamai “Kodak” perché era un nome breve, vigoroso, facile da pronunciare e, per soddisfare le leggi sui marchi depositati, non significava nulla»: così George Eastman spiegava la nascita di quel nome che per noi invece ha significato fino a ieri «fabbrica dei ricordi». Fino a ieri, perché ieri la celebre casa americana produttrice di pellicole, fondata dallo stesso Eastman nel 1888, ha avviato la procedura di fallimento, travolta dal digitale e dalle nuove tecnologie. La Kodak ha segnato la storia della fotografia: con lo slogan «voi premete il pulsante, noi facciamo il resto» e con gli apparecchi «usa e getta» ha portato la democrazia nel mondo dell’immagine, facendoci sentire tutti un po’ fotografi. Giallo era il colore degli involucri che avvolgevano i suoi rullini, giallo anche quel tono di sottofondo che dava un inconfondibile calore alle fotografie scattate con quelle pellicole e stampate su quella carta.
Parliamo, per chi oggi fa le foto con il telefonino, di un’epoca preistorica, quando prima di partire per un viaggio andavi dal fotografo o dal tabaccaio e decidevi quali e quanti rullini comprare. A priori dovevi però scegliere se volevi le foto in bianco e nero o a colori. In genere chi nascondeva sotto sotto l’ambizione di diventare un Cartier-Bresson puntava sul bianco e nero. Chi invece già pregustava il piacere (un po’ sadico) di quando avrebbe tenuto inchiodati per ore gli amici a guardare decine di diapositive dell’Islanda o del Botswana, sceglieva il colore. E anche il numero contava: se era un weekend o il battesimo del cuginetto magari bastava il rullino da 24 pose, se invece era il viaggio dell’anno ti attrezzavi con rullini da 36.
Oggi chi collega al computer la memoria dell’apparecchio digitale e vede quasi in tempo reale quello che ha scattato non può forse capire la sottile magia e quel pizzico d’apprensione che c’era nel rito di andare a «ritirare le fotografie». Perché non sapevi mai quali sorprese ti potessero attendere. Magari mentre caricavi il rullino questo aveva preso un po’ di luce, così le prime cinque o sei foto (ovviamente quelle in cui una ragazza conosciuta proprio la mattina prima di tornare a casa ti sorrideva e tu pensavi di mandarle lo scatto per conquistarla) erano uscite «bruciate» e al posto di quel sorriso c’era solo una macchia arancione. Oppure la festa di paese con le luminarie, che eri sicuro di aver ripreso fin nei più piccoli particolari, si rivelava un insieme di immagini «mosse» in cui non distinguevi né il santo e neppure il paese. D’altro canto a volte dimenticavi per mesi di andare a «ritirare» quelle fotografie e quando lo facevi quasi ti stupivi di aver vissuto tu quei momenti.
Allora la fotografia era soprattutto una questione di tempo: tempi di esposizione, tempi di stampa, tempi per far rivivere i ricordi. Ma era anche una questione di spazi: i momenti che avevano scandito la vita dei nostri nonni, fissati in immagini di carta, avevano bisogno di una scatola o almeno di un cassetto. Ai nostri genitori, quando ormai per raccogliere le fotografie trionfava l’album, con le linguette d’angolo e le pagine trasparenti tra un foglio e l’altro, serviva quasi un armadio per una sola cerimonia di nozze. Oggi puoi mettere una vita in un solo Cd e Kodak diventa sinonimo di nostalgia.
Ma non tutto il digitale vien per nuocere e in fondo hai il vantaggio di poter realizzare quante immagini vuoi. Semplicemente si è spostato il momento della scelta e, come nella vita, quello della maturità. Ai tempi della Kodak dovevi decidere nell’attimo in cui scattavi quello che era importante e quello che non valeva la pena di ricordare. Adesso puoi fermare in teoria un numero mostruoso di immagini, ma quando le hai sul computer devi comunque decidere cosa salvi e cosa no. Perché, siano sulla carta o siano sul video, gli attimi che vale la pena di rivivere non sono mai infiniti.
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